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Author: Corrado Montalto - VB - a.s.2012-13 - ITIS "M.BARTOLO" - PACHINO



DALLE ORIGINI ALLE VICENDE

L’idea di invadere la Sicilia era nata a Londra durante l’estate del 1942, quando vennero fissati due importanti obiettivi strategici nel Mediterraneo per le forze inglesi: Sicilia e Sardegna, alle quali furono assegnati rispettivamente i nomi in codice di Husky e Brimstone. Ma la possibilità di un invasione tutta britannica della Sicilia, ovviamente, venne immediatamente esclusa. Gli Usa non avevano piacere che il mediterraneo divenisse un protettorato inglese. La decisione di invadere la Sicilia fu presa alla conferenza tenuta a Casablanca il 18 gennaio del 1943. Agli inizi di quel fatale anno le sorti della guerra stavano girando in favore degli Alleati: dopo le sconfitte in Africa le forze dell'Asse erano in gravi difficoltà anche sul fronte russo.
Di lì a poco l'epica battaglia di Stalingrado si sarebbe conclusa con l'annientamento delle armate tedesche di Von Paulus. Alla conferenza di Casablanca erano presenti solo Churchill e Roosevelt; il terzo grande, Stalin, non aveva voluto lasciare il territorio sovietico mentre era in corso la durissima battaglia di Stalingrado. Il 23 gennaio 1943, nella riunione dei Capi di Stato Maggiore congiunti americani e britannici fu deciso l'attacco alla Sicilia, al quale venne dato il nome in codice di Operazione Husky. La data dello sbarco, inizialmente prevista in modo generico "per agosto", fu in seguito definitivamente fissata per l'alba del 10 luglio. Alla conferenza parteciparono il Primo Ministro W. Churchill , il generale sir Alan Brooke, l’ammiraglio sir Dudley Pound, il maresciallo di campo sir John Dill ed il futuro maresciallo della Royal Air Force sir Charles Portal per l’Inghilterra; il Presidente F.D. Roosevelt, il generale George C. Marshall, capo di Stato maggiore dell’esercito americano, l’ammiraglio Ernest J. King, capo delle operazioni navali ed il generale H.H. Arnold, che comandava le Forze Aeree, per gli Stati Uniti. Nella conferenza di Casablanca furono nominati anche i comandanti che avrebbero guidato la campagna di Sicilia e anche in questo caso gli inglesi fecero la parte del leone, assicurandosi il comando delle tre armi: per le forze navali fu designato l'ammiraglio sir Andrei Cunningham, comandante in capo della marina inglese in Mediterraneo; il comando delle forze aeree fu assegnato al Maresciallo dell'Aria sir Arthur Tedder, mentre il generale sir Harold Alexander fu nominato comandante delle forze di terra. Comandante in capo di tutte le forze alleate impegnate nell'operazione fu nominato il generale Eisenhower, avendo come suo vice lo stesso Alexander. Eisenhower, nel quadro della pianificazione dello sbarco, formò due unità operative: la task force orientale (britannica) comandata dal generale sir Bernard Law Montgomery, e la task force occidentale (americana), comandata dal generale George Patton.
La decisione su dove aprire il “secondo fronte” di lotta all’Asse cadde sulla Sicilia dopo non pochi contrasti tra i comandanti delle due potenze Alleate. “C’erano in ballo tre ipotesi – riporta lo storico Salvatore Lupo - la prima, auspicata dai sovietici, prevedeva lo sbarco nelle coste settentrionali dell’Europa, la seconda puntava ai Balcani e la terza alla Sicilia. Fu scelta quest’ultima opzione per il semplice fatto che l’Italia rappresentava l’avversario più debole”. Il “ventre molle” dell’Europa come ebbe a definirla Churchill.
La Sicilia, la più grande isola del Mediterraneo, ad appena 130 km dalla costa della Tunisia, rappresentava la via più breve per entrare in Italia e segnare il primo attacco alla "Fortezza Europa".
Da parte italiana e tedesca l'attacco all'Europa era ovviamente atteso e i servizi di spionaggio erano da tempo al lavoro per capire quale sarebbe stato il luogo dello sbarco tra i molti possibili nel Mediterraneo. Per ingannare il nemico gli Alleati attuarono una beffa che passò alla storia, tanto da aver successivamente suggerito anche la trama di un film. Nella tarda mattina del 30 aprile, al largo delle coste di Cadice, in Spagna, fu rinvenuto da alcuni pescatori il cadavere di un ufficiale inglese che, dai documenti in suo possesso, risultò essere il maggiore William Martin, dei Royal Marines britannici. Legata al cadavere, una borsa diplomatica conteneva documenti che furono giudicati importantissimi dai servizi segreti tedeschi, che erano stati prontamente avvisati dai colleghi spagnoli. In particolare una lettera, inviata dal Naval War Staff al generale Alexander, parlava esplicitamente di una imminente invasione della Grecia e di come i preparativi per lo sbarco in Sicilia servissero solo per sviare l'attenzione degli italo - tedeschi. L'operazione Mincement, descritta nella falsa lettera, fu presa per vera dai tedeschi, che caddero nella trappola, come dimostrano gli ordini di Hitler, che spostò dalla Francia verso la Grecia la 1^ Divisione Panzer. L'attenzione dei comandi tedeschi si concentrò così sulla Grecia nonché sulla Sardegna, ritenuta altro probabile obiettivo alleato.
Preliminare necessario allo sbarco era tuttavia l'occupazione di Pantelleria che l'opinione pubblica italiana, suggestionata dalla propaganda fascista, considerava una specie di Malta, una base quasi inespugnabile. Per gli alleati era necessario conquistarla, per farne una base per la loro aviazione. Ebbe così inizio una violenta offensiva aerea anglo-americana contro l'isola fortificata di Pantelleria, difesa da 11.000 uomini e 180 cannoni al comando dell'ammiraglio Pavesi. Scriveva Eisenhower: “Topograficamente Pantelleria presentava ostacoli quasi spaventosi per un assalto ... Molti dei nostri comandanti, esperti ed ufficiali di S. M., erano decisamente contrari ad uno sbarco perché  un fallimento avrebbe avuto un effetto scoraggiante sul morale delle truppe da impegnare lungo le coste della Sicilia”. Per tali motivi si decise di attaccare dall’alto e bombardare l’isola. Su Pantelleria, in soli sei giorni tra il 6 e l'11 giugno 1943, furono sganciate ben 5.000 tonnellate di bombe. Pantelleria si rivelò per quello che era in realtà: un avamposto sperduto, messo subito in ginocchio dai bombardamenti e soprattutto senza volontà alcuna di resistere. Non ci furono perdite da parte degli Alleati, a eccezione, secondo i racconti dei marinai locali, d’un soldato ferito dal morso di un asino. L’unico, appunto che da asino, ancora si illudeva di poter difendere l’indifendibile sia politicamente che militarmente.
Più di 11.000 prigionieri caddero nelle loro mani. Nei due giorni successivi anche le isole vicine di Lampedusa e Linosa capitolarono; gli abitanti della prima, addirittura, si arresero in massa dinanzi al pilota di un aereo costretto ad atterrare per mancanza di carburante.
Gli Alleati prevedevano di impegnare nell'operazione Husky, come veniva indicato in codice lo sbarco in Sicilia, 2775 navi da guerra e da trasporto, 1124 mezzi da sbarco, 4000 aerei , 14.000 veicoli, 600 carri armati, 1.800 cannoni e una quantità indefinita di munizioni, armi, vettovaglie e carriaggi, il tutto gestito da oltre 400.000 uomini. Le forze italiane impegnate in Sicilia consistevano di circa 200.000 italiani con un centinaio di carri armati e 28.000 tedeschi con 165 carri. In realtà l’isola, nonostante il grande numero di uomini in essa dislocati, non era strategicamente attrezzata. Mancavano le fortificazioni, gli armamenti, i mezzi logistici ed era priva di una valida protezione antiaerea. La superiorità degli Alleati era dunque schiacciante.
Già nella notte tra il 3 ed il 4 luglio un commando britannico tentò di sbarcare sul lido di Avola, nella Sicilia sud orientale, ma si ritirò in buon ordine. Questo tentativo, in realtà, serviva solo per saggiare l'efficienza della difesa, in previsione dello sbarco vero e proprio. Il giorno 9 infatti la nostra ricognizione avvistava la flotta d'invasione in navigazione verso le coste siciliane e lo stesso giorno 9, alle ore 22.30, 364 aerei e 12 alianti lanciavano sulle coste meridionali della Sicilia una divisione di paracadutisti britannica. Contemporaneamente, più ad ovest, scendevano i reparti della 82a divisione paracadutisti americana. Frattanto la flotta di invasione, al largo, si apprestava a sbarcare sulle spiagge le proprie divisioni.
All'alba del 10 luglio, alle 04.45, la 7^ Armata Usa sbarca sulle spiagge di Gela e l'8^ Armata inglese su quelle di Pachino e Siracusa. Un fronte costiero di 260 km, da Licata alla penisola della Maddalena pullulava di navi, mentre dall’aria stormi di caccia bombardavano a tappeto per proteggere lo sbarco. Fu la più imponente operazione militare fino ad allora vista nel mediterraneo. Sbarcarono 13 divisioni di fanteria, 2 due divisioni corazzate, 2 aviotrasportate e diversi reparti speciali. A comandare l’operazione erano i generali Bernard Montgomery per i britannici e George Patton per gli statunitensi. Nei giorni successivi le truppe alleate avanzarono a tenaglia e si scontrano con le divisioni “Hermann Goring” e “Livorno”, che ben presto, nonostante alcuni eroici tentatici di resistenza come a Noto e a Cassibile, si ritirano, specie i tedeschi, nel tentativo di raggiungere lo stretto e trasbordare sulla terraferma mentre tra le fila degli italiani tutti coloro che erano di origine siciliana, ed erano la maggior parte, cominciavano a disertare nel tentativo di raggiungere le famiglie.
Il 25 luglio 1943 al termine di una riunione del gran consiglio fascista nella quale la maggioranza dei gerarchi aveva votato un ordine del giorno di sfiducia nei confronti del Duce, Mussolini fu destituito ed arrestato per ordine del sovrano. Il re scelse un militare di prestigio come nuovo capo del governo, il vecchio maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Il 3 settembre veniva firmato a Cassibile l’armistizio con gli anglo-americani. Il suo annuncio fu reso ufficiale solo l’8 settembre, provocando il totale sfaldamento dell’esercito, mentre i tedeschi assumevano il controllo del territorio italiano.





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